Dentro una keybox

Firenze è un mosaico di storia, arte e tradizioni, che si respira tra vicoli, piazze e palazzi secolari. Eppure, in questo equilibrio sospeso tra passato e presente, si affaccia con forza un fenomeno che, da decenni, divide la città come fossimo al tempo di Dante tra guelfi e ghibellini: i turisti.
Nella narrazione giornaliera siamo abituati all’immagine del deturpatore, dell’ignorante, della pizza col cappuccino.
Ma se provassimo a cambiare prospettiva?
Ogni giorno, Firenze si riempie di lingue diverse, di occhi che si meravigliano davanti alla Cupola o che assaggiano per la prima volta una ribollita. Sono persone che, con un piano ben proposto, possono entrare in dialogo con la nostra cultura e dalle quali noi possiamo apprendere. Ed è proprio e solo in questo scambio che esiste la possibilità concreta di una crescita reciproca. Non si tratta di “difendersi” dall’invasione, ma piuttosto di costruire interazioni: aprirsi senza snaturarsi, innovare senza dimenticare.
Le nostre tradizioni non devono essere una gabbia all’interno della quale rifugiarsi, ma fondamenta su cui costruire un nuovo modo di raccontarci al mondo. E il confronto con altre culture non deve essere un pericolo, ma un valore aggiunto che ci permette di evolvere, di vedere noi stessi da angolazioni nuove e riscoprirci artigiani dell’oggi e non meri nostalgici del passato.
Insomma, il turismo può essere molto più di una voce di bilancio: può diventare uno strumento per rinsaldare il senso di comunità, per ricordarci cosa siamo davvero. E magari, per scoprire che la nostra identità non si perde quando si apre una porta, ma si rafforza.
Alla fine anche Dante è diventato universale partendo proprio da Firenze.