Banti l’ospedale da brivido alle porte di Firenze

Alla larga i paurosi, i poco curiosi e chi non crede che a due passi da casa sua ci sia un ospedale abbandonato che di notte risuona con una musica agghiacciante.
Una foresta oscura circonda un edificio di 12.000 metri quadri con una torre imperiosa che si erge per 7 piani. Rumori arrivano forti, misteriosi dagli ultimi piani. L’ala est, come al solito, fa i capricci. I cani in lontananza abbaiano. Una leggenda nasce dalle sale abbandonate di un sanatorio completamente dismesso che attira interesse degli amanti del brivido e dell’avventura.
La leggenda del Banti.
A giudicare dalle voci che girano, il Banti è stato un ex ospedale psichiatrico, un ex manicomio, un ex manicomio criminale, un ex centro di esperimenti; abbandonato per la troppa presenza di amianto; attualmente abitato da zingari, da una comunità, da creature malvagie.
Cerchiamo di mettere un po’ di ordine, senza chiaramente offendere la leggenda.
In effetti il Banti è stato un ospedale, o meglio un sanatorio. Durante il fascismo, di preciso nel 1934, con una sorta di editto di Saint Cloud, l’amministrazione del comune di Firenze decise di portare fuori dalla città tutti i malati di tubercolosi. L’aria della foresta di Pratolino avrebbe giovato ai polmoni dei pazienti. Fu costruito così il più grande sanatorio della Toscana che avrebbe accolto pazienti da tutta la regione. E fino alla prima metà dei 90′ ha assurto a questo ruolo. È stato poi smantellato e sgomberato. La presenza dell’amianto è scongiurata dal contesto storico in cui è stato costruito, ovvero negli anni 30. Il materiale tossico è stato introdotto nell’edilizia a partire dagli anni 60.
Nel corso degli ultimi 20 anni questo colosso ha cercato di reinventarsi in più modi. Ha accolto una comunità di curdi e di albanesi, è stato preso in considerazione per accogliere i pellegrini del giubileo 97′, poteva diventare il nuovo polo sanitario regionale. Nel 2009 l’Asl annunciava che il Banti sarebbe diventato un canile. Nel novembre 2011 i giornali titolavano festosi che il complesso fosse stato venduto ad un privato per 6 milioni di euro.
Vicino al Banti è presente l’altro gigante abbandonato ovvero il Luzzi, ma questa è un’altra storia.
Ad oggi nel 2015, la situazione del Banti è uguale a se stessa. Fatiscente, decadente e con un fascino kubrickiano invidiabile. I vetri vibrano nella notte. La luce lunare penetra attraverso le ampie vetrate dell’ala est e crea l’effetto di una luce accesa.
Non sono pochi gli avventurosi che per provare un’esperienza unica hanno deciso di scavalcare il cancello ed esplorare a proprio rischio.
Il sentimento che permea chi si inoltra è la paura. Un sordo stato d’animo che spesso chiude le porte al razionale. Dietro ogni angolo e ad ogni piano che si sale: un brivido. Le scritte sui muri non incoraggiano. Alla fine di un corridoio “maiali sgozzati” campeggia come un monito.
Per arrivare in cima alla torre bisogna passare accovacciati sotto un muro alto un metro e mezzo e arrampicarsi sulla scaletta. Arrivati in cima alla torre la paranoia aumenta e la possibilità di vedere uno zombie o Jack Torrance con un’ascia diventano quasi reali. Sempre che vi siate portati una torcia e siate in buona compagnia.
Vi ricordo le tre regole di come sopravvivere in un film horror (grazie Wes Craven e riposa in pace) :
–Mai fare l’amore,
–Mai ubriacarsi o drogarsi
–Mai dire “Torno subito”
(Guarda qui il video del film Scream)
La prima cosa che vi verrà in mente nel buio dei corridoi illimitati e al suono dei vetri che continuano a battere è che ci potrebbe essere qualcuno o qualcosa che vi attendono nell’ombra. Non toccate il muro, anzi non toccate niente.
Anzi non ci andate proprio, e non per la paura per due motivi: primo è proprietà privata! Mascalzoni che non siete altro e stavate pensando “ci vado subito!”. Il secondo è che qualche povero essere umano preferisce le mura fatiscenti come riparo per la notte e non la strada. E rispettarlo è il minimo.
L’edificio comunque ha assunto una valenza importantissima nella storia dell’architettura razionalista in ambito sanitario; Ma, diciamocelo, in Toscana forse non abbiamo mai avuto tanto spazio e piacere ad introdurre nuove forme avveniristiche di arte, specialmente architettura. Così questo capolavoro di design resta abbandonato e fatiscente. Ma non dimenticato.
Gilberto Bertini
Per le vostre critiche: gilbertobertini8@gmail.com