Il 25 aprile ci invita a riflettere su un concetto spesso dato per scontato, evocato nei libri di storia, nei discorsi pubblici, nelle canzoni. La libertà.

Ma cos’è la libertà per ognuno di noi? Abbondiamo di definizioni, ne hanno parlato tutti, filosofi, cantanti, politici, artisti… con una cosa però sempre in comune: voglio e quindi posso. Ma possiamo davvero limitare un concetto così grande al mero diritto di dire, fare baciare, lettera, testamento?

C’è una libertà, la più importante, che non si conquista fuori, bensì dentro. Una libertà che non dipende da governi o circostanze, ma da come viviamo il nostro rapporto con noi stessi, con le nostre paure, fragilità, illusioni.

Jacques Philippe parla di libertà interiore, quella che si scopre anche nel dolore, nella malattia, perfino nella prigione. È la libertà di non lasciarsi determinare da ciò che accade all’esterno, ma di scegliere chi essere in ogni momento. Come insegna un detto orientale: è la forza silenziosa di chi riesce a rimanere in pace anche quando tutto fuori sembra crollare.

Non si tratta di fare “tutto ciò che vogliamo”. Spesso, inseguendo questa idea, ci ritroviamo più incatenati di prima: dalle aspettative, dal bisogno di approvazione, dalle ferite che non vogliamo guardare. La vera libertà inizia quando smettiamo di accusare l’esterno, quando ci accorgiamo che, sotto certi condizionamenti, siamo noi a trattenerci. E solo noi possiamo liberarci.

Forse è questo il senso di quel verso di Dante: “Lo maggior don che Dio per sua larghezza Fesse creando … Fu de la volontà la libertate”. Non tanto la possibilità di fare tutto, ma quella di scegliere, davvero. Di amarci. Di cambiare. Di perdonare. Di vivere con pienezza, anche quando la vita è imperfetta.

La libertà, allora, non è un luogo o una condizione. È uno stato. E possiamo iniziare a viverla ogni volta che scegliamo di essere veri, anche dentro le nostre piccole prigioni quotidiane.