Dal locale all’Universale
Per le generazioni post-muro di Berlino, la storia del cinema Universale è assimilabile al mito. Omericamente raccontata di padre in figlio, di piazza in piazza, la rapsodia del cinema Universale narra di un momento di incontro tra una cultura, o forse sarebbe meglio dire controcultura, e i grandi classici del cinema mondiale. Ragazzi strutturati sugli intellettualismi del contesto storico dell’epoca, con la passione per i film d’essai ma specialmente per la libertà; per la libertà di stare insieme, in un momento dove il noi contava più dell’io, e per l’atto di godersi il sacro e profanarlo allo stesso tempo.
Godere e profanare. Tutto sommato questa è una bella metafora per la gioventù. E probabilmente sul finire degli anni 60 in una Firenze cresciuta, non più intrisa dell’austerità pratoliniana ma “vogliosa di Beatles”, la gioventù ha una voglia matta di scoprire, creare, far sentire la propria voce. L’amministrazione comunale cambia totalmente volto, dopo un decennio di Democrazia Cristiana, nel 1975 viene eletto il sindaco Gabbugiani del Partito Comunista Italiano.
La rivoluzione dei costumi, le gonne sempre più corte, i capelli sempre più lunghi. Insieme alla polarizzazione delle mode tra ciò che era di destra e ciò che era di sinistra evolveva anche il cinema. Una nuova generazione di attori e registi emergeva. Sarebbero rimasti nella storia senza cristallizzarsi, senza essere superati i vari De Niro, Al Pacino, Nicholson e poi Scorsese, Coppola (ndr. quasi tutti italoamericani) come registi. Anche la musica cambiava. In un decennio l’universo culturale era cambiato. Il mondo è in subbuglio: mentre a New York Andy Wharol fonda la sua Factory a Firenze si festeggia il secondo scudetto della Fiorentina. Forse quello fu un bel momento per abbattere le differenze culturali.
Il mulinello occidentale di correnti culturali sembra essersi riversato in un cinema popolare. In un quartiere operaio poco fuori le mura di San Frediano. Un cinema dove la democrazia, nella sua primigenia etimologia, regna sovrana. Il demos era sullo stesso piano dell’attore protagonista; che fosse Sean Connery in James Bond, che fosse il Colonnello Kurtz in Apocalypse Now che fosse Nanni Moretti. L’occhio di bue è puntato non solo sul divo ma anche sul pubblico che diventa parte integrante del plot originale integrando con battute, urla schiamazzi e all’occorrenza vere e proprie performance di esagerazione felliniana.
Era il pubblico condurre lo show. A gestire il termometro della situazione. E tutti all’interno della sala erano sottoposti al giudizio lapidario della folla, avvolta dal buio di sala. O tutti o nessuno. E così anche un momento sacro, forse l’unico atto veramente liturgico inventato nel 900′ veniva messo gnudo davanti a se stesso. Il Re è nudo. Il grande attore veniva schernito per un gesto troppo “americano”. Come in un “James Bond” quando il buon Sean Connery si leva la tuta da sub e sotto ha uno smoking inamidato e dal pubblico si sollevò un “Vaia Scemo”, che nella sua schiettezza racchiude tutto il sale di quell’epoca. ‘Si sei un classico, sei un idolo, ma sei anche uno di noi, e come tale ti becchi lo scherno!‘ questo sembra dai racconti il postulato di fondo. In sala la magnifica creazione di neologismi uno su tutti, sentito raccontare da parenti, amici di amici e in ogni dove; ormai momento catartico nei racconti orali del cinema Universale, quasi quanto “Ezechiele 25.17” di Pulp Fiction, quanto “l’assassino è il maggiordomo”: ABBURRACCIUGAGNENE. Sviolinato, a tempo, ne un secondo prima ne un secondo dopo nel momento in cui Il misterioso Marlon Brando di Ultimo Tango a Parigi usa una panetta di burro per sodomizzare la tenera e dolce Maria Schneider. Tra l’altro storia interessante quella del burroso film di Bertolucci, infatti il film in Italia fu sequestrato e dopo la sua uscita ufficiale nel 1972 al Festival del cinema a Porretta Terme. Dopo un iter giudiziario tra censura e tribunali poi il film fu comunque riabilitato e tornò nelle sale nel 1987. Una proiezione clandestina probabilmente è passata di nascosto dal cinema Universale regalandoci un neologismo degno di Noam Chomsky. Anche se per affrontare la questione nella sua completezza, c’è chi asserische che “Abburracciugagnene” sia di origine labronica.
Ultimo Tango a Parigi – Discorso sulla Famiglia
Altre meravigliose performance, tutte accompagnate dalle droghe leggere:
- La famosissima lambretta entrata direttamente in sala, un misto tra il James Coburn di “Giù la Testa” e l’irriverente motociclista di “Animal House”, che forse non casualmente è del 1978.
- L’entrata delle colombe liberatesi in volo sulla testa dei meravigliati spettatori.
- Una chitarra elettrica suonata dal vivo sulle note dei Pink Floyd live at Pompei.
Se avete altre storie raccontatemele ed inviatemele alla mia mail, provvederò a pubblicarle.
Il cinema Universale viene definito spesso “popolare”. Il cinema popolare. Una definizione fantastica. Soffiando via la polvere si trovano mille colori. Fa riflettere, anche solo a livello linguistico; specialmente al giorno d’oggi dove il cinemino di quartiere sta sempre più scomparendo per lasciare il passo ai multisala situati nei centri commerciali; a prezzi spesso popolari. Probabilmente non esistono più le distinzioni tra popolare, borghese o nobiliare.
Ma è sicuramente molto bello raccontare e tramandare questa storia a chi, come me, non esisteva all’epoca del cinema; sembra quasi incredibile che il globale si sottomettesse agli usi e costumi del locale. Impensabile fare battute ad alta voce in un multisala; quasi difficile da credere della brillantezza di certe situazioni.
L’articolo su un cinema e sul Cinema di una generazione intera non può che concludere con quella che trovo una citazione meravigliosa per definire quel momento che ho appreso ascoltando tanti reduci, per i quali l’onda è diventata veramente troppo alta, tanto da infrangersi:
“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione.” Monicelli/Perozzi
Gilberto Bertini
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