Ritorno al fantasy anni ’80 – Recensione “The Legend of Ochi”

Avete presente E.T.? Ecco, metteteci Gremlis e Okja di Bong Joon-ho ed otterrete “The Legend of Ochi”, diretto dall’esordiente Isaiah Saxon. Il regista ha firmato anche la sceneggiatura portando sul grande schermo un racconto per famiglie che sa intenerire i cuori delle persone con la rappresentazione di queste creature chiamate Ochi, ma allo stesso tempo fa ben trasparire l’enorme paura dell’uomo verso l’ignoto. Questa paura è rappresentata da Willem Dafoe, nei panni di Maxim: un padre goffo, tenebroso, ma che alla fine ha un cuore e dei sentimenti. Come in tante pellicole, spazio alla gioventù. I giovani sono sinonimo di intraprendenza e di cambiamento. Elementi che si intravedono nella protagonista del racconto, Yuri (Helena Zengel). Il punto di forza però non è tanto il racconto, ma la fotografia: uno stile che ricalca alla perfezione i classici film fantasy anni ’80, assumendo anche tratti poetici. Per sottolineare ancor di più questo aspetto, nel realizzare l’Ochi non si è ricorsi alla CGI, ma alla più classica e antica delle tecniche: l’animatronic. Una tecnologia che crea oggetti meccanici o pupazzi, spesso a sembianze di esseri viventi, controllati elettronicamente, meccanicamente o pneumaticamente. La storia del cinema è piena di esempi, ma per rimanere nel tema fantay un esempio è quello di “E.T. l’Extra-Terrestre” o dei dinosauri della prima trilogia di Jurassic Park. Per me scelta assolutamente azzeccata nel non usare la CGI, perchè da maggior spazio al reale.

In conclusione è una pellicola che non si pone pretese narrative, non si pone come obbligo di dover spiegare tutto, ma mantiene una struttura narrativa molto semplice lasciando allo spettatore quella sensazione di piacevole immaginazione e soprattutto sa andare dritta al cuore.