30 anni de “I Laureati”, sogno o son sagra?

Sulle note di “Can’t Take My Eyes Off You”, immortale colonna sonora di una delle scene più iconiche de “I Laureati”, abbiamo salutato una Piazza Pitti un po’ triste e tristanzuola. Doveva essere la grande celebrazione: 30 anni di carriera cinematografica di Leonardo Pieraccioni, l’amato regista toscano. Tanta attesa, tanta pubblicità… e poi? Una gestione che definire “alla buona” sarebbe già generoso.

“I Laureati” è quel film che riesce da sempre a far sentire tutti coinvolti: fiorentini, toscani e italiani sparsi. Un cult generazionale che ha riempito la piazza di giovani, meno giovani, gente arrivata anche da fuori, tutti con gli occhi brillanti e lo spirito pronto a tornare al 1995.

Equipaggiati di teli, seggioline da campeggio e grande entusiasmo, ci siamo trovati davanti… a niente. O meglio, a poco. Niente palco, niente maxischermo, niente atmosfera. Solo un angolino della piazza, vicino all’ingresso della stazione dei Carabinieri, che nel frattempo andavano e venivano con le auto di servizio. A dir poco emozionante.

Una cinquantina di sedie contate, uno schermo più adatto a una recita dell’asilo e quattro casse con meno potenza di quelle della vecchia TV via cavo. Ma noi, testardi e pieni di speranza, ci siamo seduti a terra aspettando l’inizio. Magari, pensavamo, vedendo la folla avrebbero almeno potenziato l’audio.

E infatti… niente, nessuno si muove.

Finalmente arriva Pieraccioni, in ritardo da vera rockstar, accolto da applausi, grida di gioia e felicità. Inizia a raccontare aneddoti, retroscena, curiosità… sicuramente divertentissimi, peccato non averne sentito nemmeno uno. Ma lo perdoniamo, perché anche solo vederlo lì, tra noi, fa un certo effetto.

Parte finalmente la scena iniziale: quella corsa liberatoria per Firenze. Per un attimo ci sentiamo davvero dentro il film. Ma l’illusione dura poco: il caos continua, la gente comincia a sbuffare e, piano piano, ad andarsene.

Alla fine restano solo i pochi fortunati sulle sedie assegnate, mentre il resto del pubblico — noi compresi — torna verso casa con un mix di delusione e affetto, sperando almeno in una notte fresca e in sogni sereni.

E vabbè, Leo, grazie lo stesso. Anche solo ballare sotto le stelle con te per tirare su quel morale che ogni tanto fa cilecca, ma che, come ci hai insegnato, con gli amici giusti e “Can’t Take My Eyes Off You” di sottofondo trova sempre il modo di riprendersi… e allora ancora una volta “I love you baby And if it’s quite alright, I need you, baby To warm the lonely night, I love you, baby Trust in me when I sayyyyyy”.